di Don Gabriele
Carissimi, abbiamo salutato in questi giorni un gigante dei “nostri”, don Valeriano Barbero.
Ho pensato di raccogliere qui gli interventi che sono stati fatti durante le celebrazioni. Ve li giro in modo che possano esservi utili: lasciamoci stimolare e convincere da una vita così!!!
Profilo biografico a cura di don Fabio Mamino – Direttore Salesiani Novara
Valeriano è un nome particolare, non lo può portare chiunque, solo chi ha qualcosa di unico. Sul calendario se ne contano almeno 9: lui lo festeggiava con orgoglio il 14 aprile, e ci ha tenuto a festeggiarlo tutto anche venerdì scorso, quasi fino a mezzanotte.
Valeriano è il fratello più piccolo di 4, nasce in una notte di fine estate, il 31 agosto del 1938, da Clemente Barbero e Anna Maria Miglio, cognomi che già lo legano a quella che sarà per sempre il suo marchio di fabbrica: branzagotto, stirpe della quale si dice “branzagot sanz’anima”. Ma è un detto da smentire: non solo perché abbiamo negli anni conosciuto tanti concittadini dallo spirito generoso e dal cuore nobile, ma anche perché Valeriano custodisce fin da piccolo un animo molto sensibile: dalle prime vicende familiari, che gli fanno sperimentare la dignità nella miseria, al tempo della guerra, quando l’esempio di mamma gli insegna ad avere misericordia con tutti, anche quelli che fanno del male.
Alcuni episodi molto particolari, che raccontava ancora con stupore, contrassegnano i suoi primi anni: la mamma e la sorella maggiore (già monaca) ricevono una serie di profezie concordanti sul suo futuro da sacerdote missionario! Tutte parole che, inconsciamente, iniziano a farsi spazio nella sua giovinezza, quando il servizio da chierichetto e qualche impegno in parrocchia lo portano all’incontro con alcuni missionari, di cui poi dirà che raccontavano in modo molto “condito”, e che però l’affascinarono in modo incredibile. Inizia così un primo viaggio alla ricerca della scintilla giusta: dal Cottolengo ai Missionari della Consolata, sembrava non esserci posto per lui all’orizzonte.
Finché nell’estate del ’50 passò da casa sua don Angelo Miglio, salesiano, che gli offrì un posto nel sogno di don Bosco: il piccolo Valeriano accetta e parte per gli studi ginnasiali a Casale Monferrato e per il Noviziato a Monte Oliveto (Pinerolo): il 16 agosto 1956 è salesiano, inizia gli studi di filosofia a Foglizzo: non era fatto per stare seduto, e riuscì finalmente a farsi mandare in missione per il tirocinio. Don Maicen gli aveva proposto il Vietnam, ma nel 1960, don Aracri lo destina alla provincia delle Filippine. A 22 anni è ad Hong Kong e posa fiero in una foto: non ha nulla, nemmeno i soldi del viaggio, ha solo un gran sorriso! Nelle Filippine conosce salesiani che in quegli anni erano reduci dai respingimenti politici in Cina e India: il suo bagaglio si arricchisce, entra in contatto con confratelli che hanno fatto la storia della congregazione nel mondo.
E’ il 1962: don Carlo Braga (oggi servo di Dio) gli suggerisce un motto per la professione perpetua, “Dio solo!”. Anche don Josè Carreno soffia sulla sua intraprendenza dicendogli: “Chiedi la grazia, prima di morire, di costruire una Chiesa dedicata alla Madonna”. Valeriano prenderà entrambi sul serio, e dopo gli anni della teologia a Bollengo e l’ordinazione del 18 marzo 1967 per le mani di Mons. Bettazzi, parte nuovamente per le Filippine, a Manila, dove inizia a sperimentare il cuore di don Bosco in mezzo ai ragazzi di uno dei barrios più poveri della capitale. Da quella prima casa, nelle Filippine seguirono altre obbedienze, con responsabilità sempre crescenti.
Viene così coinvolto in un discernimento sull’apertura di una presenza salesiana in Papua Nuova Guinea, terra ancora di confine, dove pochi si erano sperimentati e dove era impossibile anche solo tradurre la parola “Dio” in lingua locale. Ha quasi 42 anni quando atterra con 2 confratelli nella nostra prima presenza salesiana ad Araimiri, nel golfo a nord ovest della capitale Port Moresby, dove l’Australia appare all’orizzonte ma è decisamente un altro pianeta.
Nei suoi racconti missionari, l’esperienza di luoghi di estrema povertà e impareggiabile fascino, territori sfruttati dall’avidità umana e alcuni paradisi terrestri incontaminati. Tribù aborigene e giovani ai margini della società, quelli che non voleva nessuno: per loro e con loro don Valeriano diventa “Father Val”, e lavora incessantemente per costruire di tutto, anche chiese dedicate all’Ausiliatrice!
Di quegli anni si porta nel cuore un paio di episodi che lo tengono felice: un bambino che correndo gli sbatte contro la pancia e gli chiede: “Sei Gesù?“; e un ex-allievo che gli scrive: “Ogni volta che penso a te provo gioia nel cuore“. Ed è proprio il cuore quello che father Val userà come porto e riparo per tantissime persone che ancora in questi giorni gli scrivevano, pregando per lui. Negli anni ha raccolto una serie di malattie e complicazioni, fra cui una rara e fastidiosa lebbra ai nervi che lo ha tormentato come non immaginiamo.
Don Valeriano, father Val, portava sempre la croce salesiana sul petto, ripetendosi quel che c’è scritto sul retro: “studia di farti amare”. Negli ultimi giorni ripeteva che tante cose, senza amicizia, non hanno senso. Qualcuno gli faceva notare “Hai tante visite; eppure, non hai eredità da spartire: sei fortunato, allora, perché hai amicizie da condividere!”
Grazie don Valeriano, perché col cuore di don Bosco hai saputo voler bene e quindi sei stato amato.
Muore con un biglietto di ritorno in Papua: preghiamo che qualcuno possa fare per lui questo viaggio incontro ai “suoi” giovani.
La nostra comunità ha un debito di riconoscenza verso tanti medici che hanno seguito, accompagnato e assistito don Valeriano: dai nipoti al dott. Forgiarini, dal dottor Piazza alla dott.ssa Rigoni, insieme al personale dell’hospice di Galliate. Ai volontari dell’hospice e alla signora Maria Carla va la nostra ammirazione e gratitudine, per la cura gratuita con la quale ci hanno aiutato nel non lasciarlo mai solo: don Valeriano ha saputo farsi voler bene fino all’ultimo e la vostra presenza fedele ne è stata la chiara prova.
“Io sono una missione” – Omilia di don Giorgio Degiorgi
1 – Uomo fedele
Una delle fotografie più belle che conserviamo di don Bosco è quella della prima spedizione missionaria. Don Bosco, seduto al centro, ha appena consegnato il Crocefisso ai confratelli inviati in Argentina. Erano i pionieri, coloro che avrebbero evangelizzato la Patagonia e raggiunto i confini del mondo. Questo Crocefisso non solo era nelle loro mani, ma mentre lo sostenevano lo posavano sul loro cuore. Non erano salesiani esperti, non ave-vano fatto corsi particolari di inculturazione, non sapevano la lingua locale. E in più non erano caratteri facili. Ma nel loro cuore e nelle loro mani vi era Cristo crocifisso e risorto per noi. In fondo questo è il compito di ogni cri-stiano: annunciare che Cristo è vivo, è tra noi, che non va cercato tra i morti, ma che siede alla destra del Padre e ci attende con lui per condividere la Sua stessa gloria.
La prima lettura ci ha ricordato che per annunciare il Signore bisogna essere ricchi solo di Lui e non possedere altro che Lui, che Crocifisso e Risorto. “Dio solo!”. Nell’ottava di Pasqua, mentre la Chiesa celebrava la Risurrezione di Cristo dai morti, don Valeriano ha celebrato la sua Pasqua. Ha incontrato Gesù, quel Dio che lui ha professato con la fede e confessato con le labbra. “Dio solo” che l’ha chiamato alla vita cristiana, salesiana e sacerdotale lo ha condotto per una vita piena di bene e di donazione agli altri e lo ha accolto nella sua misericordia.
2 – “Predica la parola”
San Paolo rivolgendosi a Timoteo, usa un verbo imperativo: “Predica la parola”. Annuncia cioè la Parola che salva, quella Parola che è vita eterna. E ci dà anche le modalità per farlo: esorta, riprendi, correggi, con pazienza e dottrina. Ci invita Paolo a non diluire il messaggio del Vangelo, che a volte è duro, non fa sconti, non concede mezze misure. Ma ci rassicura: “Questa parola è fedele, perché se siamo morti con lui, con lui pure vivremo”. An-nunciare la Parola è il comando che Gesù Risorto lascia ai suoi discepoli prima di ascendere verso il Cielo: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”. La vita di don Valeriano ci ha insegnato che il Vangelo deve essere predicato a tutti, anche a quei popoli, l’abbiamo sentito all’inizio della Messa, che non hanno nel loro linguaggio neppure la parola “Dio”. Eppure “parleranno lingue nuove”. Perché tutti siamo stati creati in Lui e non esiste cuore, non esiste vita, che non trovi in Cristo la vera gioia e la vera ricompensa. Ogni creatura ha il diritto di ricevere l’annuncio cristiano e di partecipare alla gioia del Vangelo. Predicare la Parola di Dio, annunciare con verità il contenuto della fede, non sempre garantisce il successo. Per annunciare il Vangelo si può anche “soffrire fino a portare le catene come un malfattore” ci ha detto an-cora San Paolo, ma ci ha anche rassicurato che “la parola di Dio non è incatenata”. Gesù non può essere taciuto: per Lui si nasce, con Lui si vive, per Lui si muore.
3 – La buona battaglia
“Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la corsa, ho conservato la fede”.
Questa è stata la sintesi della vita di don Valeriano. Ha combattuto la buona battaglia con le armi del Vangelo contro le ingiustizie dei popoli. Si è schierato dalla parte dei piccoli e degli indifesi. Ha lottato perché i diritti dei deboli non fossero deboli diritti, senza mai scendere a compromessi con il potente di turno. Ha finito la sua corsa, dopo una lunga vita di bene, purificando il suo cuore nella fatica del dolore. In un suo ultimo messaggio scriveva: “Il Signore mi ha dato il chiodo che era inflitto nei suoi piedi. E fa ma-le e alcuni giorni più male del solito. Ma respiro ancora. Quindi: nulla da temere. Questo chiodo è anche una grazia. La Provvidenza è grande. Credimi che a questo riguardo ho esperienza”. Ha conservato la fede, passando gli ultimi giorni dicendo giaculatorie al Signore, a Maria, a don Bosco, men-tre tanti, tenendogli la mano, raccoglievano il suo testimone.
4 – Commiato.
Caro don Valeriano, potremmo dirti grazie per tante cose.
Per la tua fiducia immensa in Dio, fino alla fine, fin sul letto del dolore e della malattia. Per il bene che hai voluto ai giovani più poveri e bisognosi, di cui tu sei stato padre. Per i collegi, i convitti, le scuole e le chiese che tu hai costruito cercando soldi ovunque e fidandoti solo della Provvidenza. Per quando ormai malato chiedevi: “Dammi qualcosa da fare. Qui tutti lavorano, cosa sono qui a fare io!”. Oppure per il tanto bene che hai fatto per la Chiesa, collaborando con le nunziature nei Paesi in cui sei stato. Per le obbedienze difficili che la Congregazione ti ha dato.
Ma la cosa per cui, più di tutte, oggi ti diciamo grazie è che tu ci hai detto che la nostra vita è missione. Sì: noi siamo missione su questa terra; ciascuno di noi è missione per “di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG) e dietro il nostro nome vi è un sogno che Dio ha preparato da sempre per noi.
Ti affidiamo ora ai Santi del Cielo. Ti accompagnino in Paradiso. Ti accompagni Maria Santissima, stella del mattino. Quella stella che ha guida-to la tua nave nel primo viaggio missionario e poi in tantissimi altri viaggi. Quella stella che non conosce tramonto e, come la tua vita, ora, brilla in eterno. Caro don Valeriano: Vivi sempre nel Signore!
“Testimone del Vangelo” – Omilia di mons. Fausto Cossalter
Don Valeriano è stato l’uomo dalle tante appartenenze e famiglie alle quali era profondamente legato. Anzitutto la sua famiglia di origine e la comunità nella quale era nato e cresciuto e dove era nata la sua vocazione.
Poi la famiglia salesiana attratto dal carisma di don Bosco, e la terza famiglia è stata la gente alla quale ha donato 60 anni della sua vita, prima i filippini e poi i papuani. Oggi accogliamo don Valeriano per l’ultima volta in questa chiesa, dopo il saluto e la preghiera della sua famiglia salesiana di ieri. Certo, lui avrebbe voluto morire in Papua, ma il Signore e la saggezza dei medici hanno deciso diversamente. Permettete che parta da un ricordo molto personale. Quando ho conosciuto per la prima volta don Valeriano ero ancora seminarista, tra il 1976 e il 1978; in quegli anni venivo a Bellinzago nei week-end per vivere l’esperienza pastorale, poi la mia conoscenza di lui si è approfondita dal 1981 quando lui ritornava per il periodo di riposo. Il primo sentimento che aveva suscitato in me era l’ammirazione e il fascino per questo salesiano missionario, innamorato di quanto viveva, completamente donato ai fratelli in un paese a me sconosciuto che, dai suoi racconti, vedevo come selvaggio e durissimo. Probabilmente anche la mia esperienza missionaria è nata un po’ dalla testimonianza e dal racconto di tanti missionari che ho incontrato nella giovinezza, e quindi anche da lui.
Questa mattina l’ultimo saluto che la sua Bellinzago tributa a don Valeriano nella chiesa del suo battesimo è quasi una festa, anzi è Pasqua!
Certo c’è il dolore per una persona che ci ha lasciato e che non vedremo più, ma c’è soprattutto il grazie che sgorga dal cuore che nasce dalla certezza che il Signore attraverso la vita di questo fratello ci abbia fatto un grande dono. Un dono condiviso tra la sua famiglia, la comunità bellinzaghese, la chiesa, la congregazione salesiana e gli amici delle Filippine e di Papua Nuova Guinea.
Don Valeriano è rimasto profondamente legato alla sua Bellinzago, ma nello stesso tempo pienamente radicato nella missione; le sue radici erano profonde, innestate qui, nella fede dei suoi famigliari e nella testimonianza di questa comunità. Tornava a casa volentieri per riprendersi fisicamente dalle fatiche della missione e per incontrare i famigliari e gli amici che lo hanno sempre sostenuto e accompagnato, ma il suo pensiero era però là, ai progetti, a quanto bisognava fare, insomma alle persone di laggiù. Anche il suo sorriso ora ci mancherà, era un messaggio forte, ci diceva che donandosi tutto al Signore e di conseguenza ai fratelli, la sua vita era bella, piena, realizzata, felice. Le fatiche, le traversie avventurose della missione e le malattie affrontate non hanno mai minato il suo entusiasmo.
Don Valeriano ha realizzato nella sua vita il sogno avuto nel 1872 da don Bosco che lo convinse a iniziare l’apostolato missionario dei suoi figli salesiani. Sono andato a rileggerlo e chissà, mi immagino che forse don Bosco avesse già visto anche l’opera dei suoi figli in Papua Nuova Guinea. Racconta infatti:
“Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia e affatto sconosciuta. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi tutti nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, con i capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato, vestiti solo di pelli di animali che scendevano loro dalle spalle. Erano armati di lunghe frecce e di fionde”. Dice poi don Bosco, continuando il racconto del sogno, che si avanzavano dei missionari di vari ordini per predicare la religione di Gesù Cristo, ma quei barbari appena li videro li assalirono e li massacrarono. Dopo questo il sogno continua: “E vidi che i nostri missionari salesiani si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi mettevano in pratica le loro ammonizioni. Dopo un poco i salesiani andarono a disporsi al centro di quella folla che li circondò, e si inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei missionari, piegarono essi pure le ginocchia”.
Qualcuno, pensando alle vicissitudini che hanno vissuto i missionari, parla di eroi. Invece sono testimoni, dei cristiani che hanno preso sul serio il Vangelo e che diventano uno stimolo anche per noi, pur non partendo per terre lontane. San Paolo ce lo ha ricordato nella prima lettura ripercorrendo la propria esperienza di apostolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo. […]. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. […]. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anche io”. Non è altro che la risposta al comando e all’invito che il Risorto fa’ ai suoi apostoli prima di lasciarli: “Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli. […]. Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Questa è stata la forza che ha sostenuto per 60 anni don Valeriano in missione, la certezza che non era mai solo, che il Signore ha accompagnato i suoi passi, che la sua vita è stata bella e non sciupata, che è valso davvero la pena viverla fidandosi del Signore e amando profondamente le persone e i giovani per i quali ha dato tutto sé stesso. Avrebbe desiderato tanto morire a Papua, non è stato esaudito, ma siamo certi che la sua preghiera continuerà ad accompagnare la Chiesa che ha contribuito a fondare in quelle terre.
Noi siamo fieri di questo fratello che oggi affidiamo al Signore perché gli doni il premio promesso ai servi buoni e fedeli, certi che ad attenderlo troverà Maria Ausiliatrice e don Bosco che lo abbracceranno e gli faranno posto tra loro per partecipare al banchetto di festa dell’Agnello.
La sua testimonianza resti viva in questa comunità e sia ancora feconda e porti frutto. Soprattutto ci aiuti a non spegnere il fuoco della missione che deve ardere in ciascuno di noi per portare ad ogni uomo, vicino o lontano, la bellezza dell’incontro con Cristo.
Il saluto dalle terre di Filippine e Papua – Intervento di don Gregory Bicomong, Ispettore nelle Filippine
Don Valeriano è andato nelle Filippine quando era un chierico nel 1960. Completati gli studi di teologia è tornato nelle Filippine con grande zelo pastorale e gli è stata affidata anche l’amministrazione. Come economo ispettoriale ha contribuito molto alla stabilità finanziaria dell’Ispettoria delle Filippine.
Nel 1980 è andato in Papua Nuova Guinea come uno dei pionieri. Il vescovo Capelli riferiva che don Savina, l’amico di don Valeriano, lo definiva “un pazzo costruttore che costruiva la casa a don Bosco in Araimiri sulla sabbia”. Infatti il mare pian piano ha distrutto tutto. Don Savina invece, con orgoglio diceva: “Io ho costruito la casa dei salesiani a don Bosco a Gabutu sulla roccia”. Il vescovo Capelli, scherzando, disse che mentre l’operaio lavorava con il martello pneumatico per distruggere un pezzo della montagna e costruire la scuola di don Savina a Gabutu, don Valeriano invece gridava il nome della moneta di Papua Nuova Guinea: “kinakinakinakina”.
Il vescovo Capelli ricordava che, nel 1993, dopo 13 anni nell’Araimiri di Gulf Province, don Valeriano è stato già indebolito dalla malaria; la vista era offuscata perché dall’occhio, qualche volta, uscivano goccioline di sangue. Nello stesso anno del 1993, don Capelli e don Savina sono andati dall’arcivescovo Kuronku per chiedere un terreno dove i salesiani potessero costruire la residenza per la Delegazione e una scuola tecnica, come desideravano i vescovi di Papua Nuova Guinea. Con tante preghiere e attraverso l’intercessione di san Giuseppe -secondo don Capelli- dopo due o tre giorni fu offerto un terreno ai salesiani dall’arcivescovo Kuronku. E’ stato un miracolo. Il resto del miracolo sarà completato da don Valeriano nel cercare i soldi per costruire la scuola. Basta vedere gli edifici che adesso esistono a Boroko East dove si trovano ora la grande scuola, la residenza per la comunità, il santuario di Maria Ausiliatrice e l’edificio per i ritiri e le conferenze. Tutto costruito da don Valeriano. Ma lui sarà ricordato non solo per le costruzioni, ma soprattutto per la sua passione per le anime dei giovani e il suo zelo missionario. La sua ricerca di denaro per la costruzione era espressione solo del suo amore per le anime dei giovani e per la gente di Papua Nuova Guinea. Tutto per amore di Dio e dei giovani, nella per sé stesso.
Don Valeriano fa le cose senza mezze misure, sempre pronto a dare tutta la sua energia con dedizione per gli altri, soprattutto per i giovani poveri e bisognosi. L’anno scorso, nel mese di giugno, dopo il corso per i nuovi ispettori a Valdocco, ho visitato don Valeriano qui a Novara. Era molto felice di vedermi. Mentre stavo qui nella comunità ho davvero apprezzato tutto quello che ha fatto per me, portandomi a visitare il lago Maggiore e il santuario di Oropa anche se faceva un po’ fatica a camminare e salire le scale.
Mi ricordo che ci è voluta almeno un’ora di cammino dal parcheggio fino a raggiungere la basilica superiore, vicino alla chiesa antica. Mi diceva che voleva anche tornare, se fosse stato possibile, in Papua Nuova Guinea e anche morire nella terra della missione, magari per essere sepolto nel cimitero che lui stesso ha costruito a Port Moresby dove don Savina, il suo amico, è già sepolto. Don Valeriano diceva di voler stare a Papua Nuova Guinea almeno un mese per dirigere i lavori e montare le ultime vetrate del santuario di Maria Ausiliatrice che lui ha costruito. Ma tutto questo non è stato possibile. Si può comprendere il sentimento di questo missionario dopo aver donato tutta la vita nella missione, 20 anni nelle Filippine e 40 anni in Papua Nuova Guinea.
Carissimo don Valeriano, ti vogliamo bene. I giovani e la gente di Papua Nuova Guinea ti vogliono bene. Non diciamo arrivederci, ma diciamo: ci vedremo ancora nel Paradiso dove ci sono don Bosco e Maria Ausiliatrice.
Per don Bosco, un confratello che muore per le anime dei giovani significa che la Congregazione ha trionfato. Colgo questa occasione per ringraziare sentitamente i parenti, gli amici, i benefattori e i salesiani per tutti gli aiuti finanziari e per le preghiere date e fatte per don Valeriano. Ringrazio molto la comunità dell’Istituto Salesiano “San Lorenzo”, in modo particolare il direttore, don Fabio, per essersi preso cura di padre Valeriano soprattutto in quei momenti difficili trascorsi in ospedale.
Cari confratelli, fratelli e sorelle, don Valeriano come si legge nella lettera agli Ebrei “corse sempre con perseveranza nella gara tenendo fisso lo sguardo su Gesù”. Che i suoi esempi di fedeltà, di dedizione per la missione, di amore per Gesù e per i giovani possano essere una ispirazione per noi tutti. Amen.
Saluto a don Valeriano Barbero – da parte del gruppo missionario di Bellinzago
Caro don Valeriano, il gruppo missionario di Bellinzago desidera dirti un grandissimo grazie. La lontananza delle terre in cui hai vissuto la tua vita di missione non è mai riuscita a tenerti lontano dal nostro pensiero e dal nostro cuore. Anzi: la tua vita donata è sempre stata stimolo per noi, rimasti in parrocchia, per darci da fare con la stessa intelligenza e determinazione con la quale hai speso la tua vita per gli altri nelle Filippine e in Papua.
Poterti rivedere, di tanto in tanto, era poi motivo per riscoprire il motivo del nostro operare: annunciare Gesù e la sua vicinanza ad ogni uomo, ad ogni fratello.
Abbiamo cercato sempre di sostenerti con l’aiuto economico perché potessi portare a termine le opere che ritenevi utili in quelle terre che hai amato. Ma ti abbiamo soprattutto accompagnato con la nostra costante preghiera.
Ancora adesso vogliamo chiedere al Signore che ti conceda la ricompensa per le tue fatiche vissute per Lui. E dal Paradiso siamo certi che accompagnerai il cammino del nostro gruppo ma anche dei missionari branzagotti ancora in missione in giro per il mondo che oggi si uniscono alla nostra preghiera.
E speriamo che dal Cielo tu riesca a suscitare nel cuore di qualche bellinzaghese il desiderio di spendere la vita, anche lontano da casa, per annunciare il nome di Gesù. Grazie don Valeriano per tutto quanto hai seminato, tanto nei nostri cuori, quanto in terre lontane.
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